Viviamo in un’epoca in cui ai bambini si offre tutto e subito. Soluzioni, strategie, risposte…nulla viene lasciato immaginare, generare dalla mente del bambino dopo un tempo adeguato di attesa e riflessione. Tutto viene anticipato: bisogni, richieste, risposte.
Un clic, e arriva un video; un pianto inaspettato e compare un regalo. L’immediatezza è diventata una forma di affetto, come se aspettare fosse una fatica inutile.
Eppure, l’attesa è una delle esperienze più preziose che un bambino possa vivere: perché nell’attesa si costruisce il desiderio, e nel desiderio nasce la capacità di ascoltare se stessi e di agire per soddisfare il proprio bisogno.
Nelle scuole Montessori per esempio, le attività sono limitate. Un solo lavoro per tipologia. I bambini nella stanza devono attendere il proprio turno per poter svolgere quella determinata attività. Nell’attesa scoprono se il loro desiderio resta intatto o se virerà su altro.
Imparare ad aspettare significa incontrare un limite, il proprio e quello del mondo. Non tutto si può fare o, alle volte, non subito.
Un limite non è una punizione, ma un confine: è ciò che dà forma alle cose.
Quando un bambino aspetta il suo turno, un compleanno, la neve o un dolce che cuoce, impara che non tutto accade subito. E in quel “non ancora” cresce la forza della fiducia, del fatto che qualcosa si sta creando anche se io non posso vederlo, anche se non posso accelerare il processo.
Non c’è solo frustrazione nell’attesa, ma anche una gioia sottile che risveglia l’eccitazione, la fantasia, la preparazione.
Un bambino che aspetta Babbo Natale non vive solo il dono, ma anche l’immaginazione che lo accompagna. L’attesa diventa gioco, sogno, racconto, magia.
Soddisfare ogni bisogno immediatamente priva i piccoli di esperienze emotive fondamentali: il gusto della sorpresa, della dolcezza del desiderio che matura, di nuove risposte che potrebbe trovare da solo.
Noi adulti abbiamo una responsabilità grande: insegnare a non avere tutto subito. È questo un atto d’amore che creerà nel bambino la consapevolezza che nell’attesa ci sono grandi insegnamenti.
Lasciare che un bambino attenda, senza riempire ogni silenzio, senza anticipare ogni richiesta , è offrirgli la possibilità di scoprire la calma, la fiducia, la misura, la fantasia, la sua capacità di ascoltarsi, di generare desideri, di agire per soddisfarli da solo, di chiedersi se davvero sono così importante per lui, di creare nuove risposte, diverse strategie.
Significa dirgli: “puoi farcela anche se non avviene subito.” E questo accresce l’autostima e l’autonomia.

Foto da Il Mondo di Anya

Come educare all’attesa?

Con la quotidianità!
Aspettare che il dolce si raffreddi prima di mangiarlo;
contare i giorni sul calendario prima di un evento;
seminare e guardare crescere una piantina;
leggere una storia a puntate, una sera dopo l’altra.
Ogni piccolo momento di attesa insegna a vivere il ritmo naturale delle cose, a non saltare i passaggi. Non si può far nascere prima un bambino, o farlo camminare prima del tempo. Quando sarà pronto, lo farà.
E così l’infanzia è il tempo più fertile per imparare che ciò che vale davvero ha bisogno di tempo. Ai bambini non piace correre. Anche questo è un buon modo per mostrare loro quanto possa essere bello aspettare.
Quando un bambino impara ad attendere, non perde nulla, al contrario, guadagna tutto: la capacità di desiderare, di immaginare, di apprezzare, di connettersi, di osservare, di crescere.
E forse, anche noi adulti, dovremmo ricordarlo ogni tanto: che la fretta di dare, di rispondere, di risolvere, spesso toglie ai bambini la parte più bella del vivere, di cercare le proprie risposte, di creare soluzioni nuove, di uscire dagli schemi.
Troppo spesso per paura di non essere all’altezza, corriamo a prevenire ogni frustrazione, a riempire ogni silenzio, a soddisfare ogni bisogno — perché temiamo che, se non lo facciamo, non saremo abbastanza bravi come genitori.
Abbiamo paura che il nostro “no” venga letto come freddezza, che l’attesa diventi mancanza, che la frustrazione ferisca.

Molti adulti credono che amare significhi risolvere tutto, eliminare gli ostacoli dal cammino dei figli.
Ma il bambino non ha bisogno di un mondo senza difficoltà — ha bisogno di un adulto che resti accanto mentre impara a superarle.
L’amore non si misura nella rapidità con cui rispondiamo, ma nella qualità della nostra presenza.
A volte il gesto più amorevole è proprio non intervenire subito: restare lì, osservare, dare tempo.
Lasciare che il bambino cerchi una soluzione, che sperimenti la noia, che provi la delusione, sapendo che c’è qualcuno che lo sostiene — non che lo sostituisce.
Possiamo immaginare l’adulto come un giardino in cui il bambino cresce: non un recinto, ma uno spazio che offre confini e libertà insieme.
Il compito dell’adulto non è accelerare la fioritura, ma proteggere il tempo necessario a sbocciare.
Un tempo lento, imperfetto, pieno di silenzi.
Un tempo in cui il bambino può sentire che è amato anche quando non ottiene subito ciò che vuole, anzi, proprio allora.


A volte, per amare davvero, bisogna avere il coraggio di non dare tutto. Di restare accanto, senza riempire. Di fidarsi del tempo, e del bambino che cresce dentro di esso. Egli saprà costruire il suo mondo, le sue risposte, percepire i suoi bisogni e gestire i tempi per soddisfarli. È il tempo della fiducia, del lasciar andare stando accanto.

foto da Il Mondo di Anya


Ogni piccolo “non subito” è il motore che spingerà il bambino verso la sua identità più profonda, creando autostima, pensiero critico, resilienza e autonomia.


E tu, come vivi l’attesa con i bambini ? E  con te stesso? Ti capita di voler dare tutto subito, per amore o per paura di non bastare?
Raccontamelo nei commenti: condividere le nostre esperienze è un modo per imparare insieme a rallentare e fidarci del tempo.
Se queste parole ti hanno fatto riflettere, condividi l’articolo e raccontami la tua esperienza. Passo dopo passo, continueremo a scoprire la bellezza del “non ancora”.

Manuela Griso