L’ aggressività fisica e/o verbale è solo la punta (estrema) di un movimento interiore di disagio che non trova altro spazio di espressione.

A fronte di un ventaglio di emozioni spesso aventi a che fare con rabbia e frustrazione alcuni bambini ricorrono all’ espressione o esplosione del corpo come unico strumento per dare voce a quello che non riescono ad esprimere verbalmente o che non sono ancora in grado di gestire diversamente.

Compito della figura educante, specialmente del genitore con il quale è più facile che ciò possa accadere, riuscire a contenere prima e incanalare poi queste manifestazioni fisiche ( che in alcuni momenti evolutivi rappresentano anche un affermazione di volontà ) di modo che il disagio possa essere espresso in modi più funzionali e volti alla risoluzione.

Intorno ai due anni, il bambino inizia a notare chiaramente come le sue azioni possono procurare una reazione negli altri ed inizia, attraverso l’ opposizione, non solo ad affermare la sua volontà ma anche a ‘testare’ l’ altro, spinto da una curiosità affettiva oltre che alla sperimentazione attiva delle emozioni. Tendenzialmente prima dei quattro anni il bambino non dispone ancora di una volontà matura, verso la quale è importante progressivamente accompagnarlo; molte volte le manifestazioni di volontà sono quindi ancora scisse dai bisogni reali o dall’ espressione di questi ( “Ma io lo voglio ” oppure “voglio la stessa cosa che ha preso il papà”) ed un ‘No’ o la definizione di un confine chiaro e deciso possono procurare in lui emozioni il cui processo gli riesce difficile contenere.

L’ Io del bambino non ha ancora una struttura tale da poter consapevolizzare, gestire e soprattutto contenere ciò che gli accade dentro, bisogna appunto accompagnarlo fornendogli gli strumenti necessari per costruirlo nel tempo attraverso rimandi ed esempi. Ricordiamoci che i bambini ‘registrano’ come risponde l’ adulto di riferimento e ne fanno spesso un modello di comportamento futuro.

Superati i quattro anni (e oltre, fino ad arrivare alla pubertà) questa onda ormonale emotiva può risultare per alcuni fisicamente molto difficile da sostenere senza un esplosione a danni di cose o persone, in particolar modo quelle con le quali si è maggiormente sviluppato un attaccamento affettivo importante.

Cosa fare allora quando mio figlio mi picchia, distrugge gli oggetti in casa o fa del male a sua sorella/fratello?

E’ bene innanzitutto stare attenti a non rispondere all’ aggressione con un altra aggressione, se non si vuole correre il rischio non solo di fallire nella comunicazione ma addirittura di rinforzare questo atteggiamento.

Per aggressione si intende sia fisica che verbale quindi l’ educatore o il genitore sia ben attento a non cadere in trappole di parole che feriscono tanto quanto un pugno ( “Quando fai così sei stupido/cattivo….ecc; i giudizi verbali diventano poi quello con cui il bambino si identifica e tenderà inoltre a replicare lo stesso atteggiamento). Il disagio diventa violenza quando non trova un collegamento con il bisogno che nasconde, questo accade anche negli adulti, per questo è così importante non trascurare segnali così importanti che il bambino che “aggredisce” sta inviando.

Appuranto che l’ aggressione è , di fatto, una richiesta di attenzione e aiuto rispetto allo stato emotivo che stà vivendo, la prima cosa da fare è sicuramente evitare che il bambino vi faccia del male. Il fatto che siate consapevoli del bisogno nascosto non lo autorizza a trattarvi come un “pungiball” su cui potersi scaricare (anche questo potrebbe in futuro incoraggiarlo) come a dire “fai pure, tanto sono solo la mamma, con me puoi.”

No, non può. Pugni e calci possono essere fermati in modo deciso anche attraverso il contenimento coercitivo dal quale cercherà a volte di svincolarsi con la forza o con “fughe” quali : “ devo andare in bagno, mi fa male il pancino”, “non posso respirare”, “ho sete”. Sono altri modi di dire che quello che sente è troppo forte per lui/lei. Se lo lasciamo fuggire sarà questo poi che farà spesso a fronte di questo stato interiore.

L’ abbraccio stretto è un ottimo modo per fargli sentire questo contenimento. Tutto quello che il bambino può vivere con e attraverso il corpo ha più facile accesso alla coscienza, è immediato. Il bambino non può ancora farlo per se stesso, allora l’ adulto funge da “Io che contiene”.

Ti contengo fisicamente affinchè tu non ti faccia del male e non faccia del male alla mamma, al papà al fratellino o alla casa. Quando sarai più calmo potremo chiarirci e ti lascerò andare.

Ovviamente i dialoghi devono essere modulati in base al bambino in modo che siano per lui comprensibili. Poche parole, semplici e che spiegano cosa stiamo facendo e perchè.

Dopo che il bambino si sarà sfogato con pianti e tentativi di fuga, quando quindi quell’ energia potente è stata liberata, sarà possibile il dialogo. Durante la crisi è totalmente inefficace e per di più frustrante per entrambi.

Quindi : impedire la fuga, rifiutare l’ aggressione e iniziare il dialogo.

I due non si staccano finchè il conflitto non è chiuso. Questo favorisce un “attaccamento sicuro”. La capacità di vivere e gestire il conflitto senza correre il rischio di essere rifiutato o abbandonato.

E’ importante che nel momento del dialogo il bambino vi guardi negli occhi, quindi si può prendergli il viso per favorire lo sguardo. Allo stesso tempo non è obbligato a guardarvi (è comunque un modo per fuggire) allora lo si può rassicurare

” Tu non sei obbligato a guardarmi ma io ti vedo, devi solo ascoltare come io stò con te”

Da questo momento potrete dire come vi sentite quando lui/ lei hanno atteggiamenti aggressivi e potrete cercare di indovinare quale è il bisogno di base che li muove (chiederglielo direttamente può essere utile come no, dipende dall’ età e dal livello di presenza interiore, a volte nemmeno gli adulti lo sanno cosa sentono veramente quindi non è assolutamente detto che il bambino abbia alla coscienza il perchè si comporti così ). Potete fare domande rispetto agli accaduti, oppure “riesci a dire la stessa cosa con le parole?” e condurvi al bisogno nascosto (una caccia al tesoro davvero molto importante per costruire relazioni sane).

Giudizi svalutativi da parte dell’ adulto, o promesse estorte come “prometti che non lo farai più” e “chiedi scusa” sono del tutto inutili e anzi dannose. Il bambino non si sente accolto, nè protetto in un momento in cui egli stesso non è in grado di farlo, e il suo bisogno rimane inespresso. Alla prima occasione utile l’ evento aggressivo si ripeterà.

Ricordiamoci, inoltre, che esiste un “ordine” che è fondamentale affinchè ogni bambino abbia la possibilità di costruirsi un identità personale e di relazione sana. Ci sono dei grandi e ci sono dei piccoli, i grandi devono fare i grandi ed i piccoli devo fare i piccoli.

I grandi hanno la responsabilità dei piccoli e non il contrario, i grandi orientano i piccoli su come stare meglio e non il contrario ; i bambini possono arrabbiarsi per questo e dirlo ma l’ “ordine” rimane. Questo non vuol dire comandare i piccoli ma piuttosto che è compito del grande riuscire a cogliere i bisogni inespressi, in questo caso specifico e reindirizzare l’ aggressività senza bisogno di instillare sensi di colpa, premi o punizioni.

Parleremo meglio di questo argomento nell’ articolo “La generazione dei piccoli tiranni”.

Maria Rosa Iacco

 

 

 

 

 

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