Sei al parco, il tuo bambino/a gioca sereno con altri bambini, non litigano, non hanno bisogno dell’intervento dell’adulto.
È giunta l’ora di andare a casa. Ti avvicini al tuo bambino e gli comunichi che di lì a pochi minuti è ora di salutare e tornare a casa.
Inizia un tira e molla emotivo. Il bambino inizia a piangere, a disperarsi, magari si mette a terra e batte i piedi arrabbiato, urla e si oppone.
D’altro canto tu sei inizialmente tranquilla, poi l’emozione del tuo bambino inizia ad invadere anche te, per questo parli in modo più concitato, magari cerchi trattative, oppure ti spazientisci ed urli a tua volta, prendendolo di peso e portandolo via.
Cosa è successo?
Pensieri  del bambino:
“Wow che bello il parco. Ci sono tanti bambini con cui giocare. Questo bambino mi piace molto. Mi diverto con lui. Oh no, si avvicina la mamma. Vorrà dirmi che bisogna tornare a casa. Io non voglio tornare a casa, mi sto divertendo tanto. A casa non ho nessuno con cui giocare. No, non voglio tornare a casa.”
Pensieri dell’adulto:
“Che bello vederlo giocare sereno. Peccato che sia ora di tornare a casa. Ci sono un po’ di cose da fare e devo ancora preparare la cena. Si farà tardi se non andiamo via tra poco e dopo non avremo tempo per raccontare la storia o fare un gioco insieme prima della nanna. Ora glielo dico.”
Quali emozioni state provando?
Sicuramente entrambi siete dispiaciuti. Tu adulto sai che andare a casa è necessario per il benessere di tutti, che tornerai e che potranno giocare di nuovo insieme, anche se non sai quando. Per te questo è un problema piccolo, facilmente risolvibile e una questione di poco conto.
Per il tuo bambino, che non vive altro se non il presente, che non ha proiezioni future, questo è il momento in cui tutto accade. In questo momento lui sta bene, gioca, si diverte e non vede un buon motivo per interrompere questo benessere.
Continuiamo ad analizzare i passaggi. Ti avvicini e dici al tuo bambino che tra poco bisogna andare. Quantifichi il tempo in modo che possa comprendere, ma lui entra nell’emotività esplosiva e parte il conflitto.
Bambino: “Ora mi porta via e io non mi divertirò più. Sto bene qui, perché dobbiamo tornare a casa? Possiamo stare ancora qui. Il mio amico non sta andando via. Mi sento tanto tanto triste. Mi viene da piangere forte. Sono anche tanto arrabbiato perché la mamma/papà non capisce che possiamo restare ancora al parco.”
Adulto: “Ecco che attacca la solita scena. Tutti ci guardano. Chissà cosa penseranno di noi. Abbiamo tutti un figlio, ma solo il mio fa ste scene. Cosa sbaglio? Adesso mi toccherà prenderlo di peso. Già lo so. Provo a convincerlo.”
Segue la scena in cui cerchi una trattativa: “Torniamo domani al parco. Chiediamo alla mamma/papà del bimbo se anche loro tornano così potete giocare ancora insieme. Dai che a casa arriva il papà/la mamma e ci aspetta. Ti preparo una buona cena. Cosa vorresti mangiare?”
I tentativi vanno a vuoto. Il bambino resta disperato e arrabbiato.
Bambino: “Non voglio tornare a casa. Voglio continuare a giocare. Voglio restare al parco adesso. Perché la mamma/papà non lo capisce?”
Adulto: “è cocciuto come un mulo, non ascolta mai, guarda che scena madre, neanche lo stessi picchiando”
Cosa accade a livello emotivo?
Il bambino è uscito dalla sua finestra di tolleranza, la frustrazione e la tristezza lo hanno sopraffatto e non riesce a filtrare altre informazioni.
Tu adulto sei fagocitato da tutto ciò che accade al di fuori di te: il bambino che piange e non ascolta, gli altri genitori che osservano la scena e magari giudicano, la pressione dell’orario e delle incombenze. Sale la rabbia perché pensi di stare subendo un’ingiustizia. Hai portato il bambino al parco per farlo divertire, lo hai avvisato del tempo che mancava in modo comprensibile, hai cercato una mediazione. Perché non ha funzionato? Perché lui non collabora?

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Il bambino è preda del suo turbine emotivo, non ha modo di controllare quello che gli sta succedendo. Se tutto accade nel presente, quel presente sta finendo ed è un momento triste e frustrante perché se potesse scegliere lui, resterebbe lì per sempre.
Tu, con la rabbia crescente non riesci a sintonizzarti sull’emozione del bambino, la sottovaluti, così agisci e lo porti via di peso. 
Il bambino si sente invaso, incompreso, totalmente dipendente dall’adulto che decide tutto e non comprende il suo malessere.
Tu ti senti giudicato, scoraggiato, senza strategie se non l’arma del più forte.


Ora facciamo un altro esempio. Sei con la tua amica/o, state trascorrendo una piacevole vacanza insieme. Un tempo che ti sei presa/o per te dopo tanto. Il giorno del rientro si avvicina, ma tu sai che avete ancora un po’ di tempo e nel quale avete organizzato alcune cose da fare. Improvvisamente però arriva una telefonata e la tua amica/o deve rientrare subito a casa. Sarà dispiaciuta/o, ma non potrà fare altrimenti. Tu come ti senti?
Frustrat*, delus*, arrabbiat*, triste?
Tutte queste emozioni ti passano se la tua amica/o  ti dice che potrete rifarlo presto? Che non è il caso di farne una tragedia, che ci saranno altri momenti così?
Ti sentiresti compres* se mentre provi tutto questo ti dicesse che stai facendo una scena per nulla?
Certo, forse non la vedi un’immagine realistica perché tra adulti non ci rivolgeremmo mai così. E sta proprio qui il punto: perché con i bambini sì? Come mai le loro emozioni valgono meno?
Sei stato/a bambina/o anche tu. Chissà quante volte ti sarà capitato di pensare: ” Non vedo l’ora di essere grande così decido io per me, così posso fare quello che voglio.”
Questo dovrebbe aiutarci a riflettere sull’importanza delle situazioni e delle emozioni che ne derivano, in base all’età che abbiamo. A 5 anni andare via dal parco sarà una tragedia, a 10 mi dispiacerà, ma so che potrò tornare. A 15 rientrare da una festa prima degli amici mi farà sentire uno sfigato, a 25 sarò io stesso a scegliere di farlo. Ogni età vive le sue frustrazioni, i suoi obiettivi, le sue aspettative, le gioie e i dolori. Proprio perché noi ci siamo passati, dovremmo comprendere e offrire una spalla a cui aggrapparsi, senza giudizio. Dovremmo accogliere l’emozione, incanalarla, più che farci travolgere o spezzarla rinnegandola.
Tornando al parco, come potrebbe agire l’adulto?
Una possibile alternativa:
“Carlo, quando scatterà questa sveglia sarà l’ora di tornare a casa. So che ti dispiacerà molto, spiace anche a me perché vedo che ti diverti molto. Scegli un modo per salutare bene i tuoi amici, così poi possiamo tornare a casa.”
Con la comunicazione efficace, il bambino si sentirà compreso, sintonizzato con l’adulto e comprenderà che può scegliere qualcosa in quella situazione difficile. Che la sua opinione è importante e che per quanto complesso, lui potrà trovare un modo sereno per andare via dal parco.
Non è una bacchetta magica. Ci saranno momenti di incomprensione, di fatica emotiva dell’adulto che non riuscirà a gestire anche quella del bambino. Ma è uno strumento utile ed estremamente potente se maneggiato con cura.
Non si tratta di viziare il bambino, di fare tutti ciò che dice per non che pianga ecc. È importante che l’adulto prenda delle decisioni che il bambino non può prendere per sè, ma è sempre fondamentale fargli comprendere che lui è parte della soluzione e mai solo del problema.

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In ogni conflitto tra adulto e bambino non ci sono vincitori né vinti: c’è una relazione che chiede di essere custodita. Le emozioni del bambino non sono “piccole” o “meno importanti” solo perché appartengono a chi ha meno anni; hanno la stessa intensità e dignità di quelle dell’adulto, anche se si esprimono in forme diverse. E’ con l’esempio e l’esperienza personale che il bambino inizierà a distinguere i gradi della sua reazione in base alla situazione. Problemi grandi, medi e piccoli. 

Il compito dell’adulto non è reprimere né schiacciare, ma guidare: diventare il punto fermo che, con calma e ascolto, mostra che i conflitti possono trasformarsi in occasioni di crescita reciproca. Quando l’adulto sceglie di sintonizzarsi con il sentire del bambino, non perde autorevolezza, ma la rafforza: diventa modello di rispetto, empatia e cooperazione.

Perché in fondo, risolvere un conflitto non significa stabilire chi ha ragione, ma imparare insieme a camminare nella stessa direzione.

Se questo articolo ti è stato utile per riflettere e pensi di avere bisogno di un approfondimento, scrivimi. Sarà lieta di leggerti! 

Manuela